Oltre i luoghi comuni. La vera causa dell’improduttività italiana.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp

Vogliamo essere il grillo parlante che generi consapevolezza.

Il falso mito del Made in Italy, della digitalizzazione e dei finanziamenti. La vera soluzione è un’azione culturale rivolta al primo lavoratore: l’imprenditore.

 

Le avventure del piccolo imprenditore italiano.

L’Italia è il paese dei balocchi. Non diciamoci più bugie.

Il piccolo imprenditore è spesso un burattino vittima di un sistema che molte volte lo colpevolizza; ma così come Pinocchio dopo un percorso di maturazione diventa un fanciullo vero, il piccolo imprenditore dopo un percorso di consapevolezza può fare il salto di paradigma che lo porti ad una reale crescita e produttività aziendale.

 

Lo scenario italiano.

Il problema dell’improduttività

In Italia ci sono, sulla base di dati Istat aggiornati al 2019 , 4.377.379 imprese. Di queste:

❖ Circa 4 milioni e 150 mila sono microimprese (4.149.572 imprese 0-9 dip.) 94,8%.

❖ Circa 200.000 sono piccole imprese (199.340 imprese 10-49 dip), 4,55%.

❖ Circa 24.000 sono medie imprese (24.288 imprese 50-249 dip.) 0,55%.

❖ Circa 4.000 imprese vengono classificate come grandi imprese (4.179 imprese 250 dip. e più) 0,1%.

 

 

Facile puntare il dito contro il piccolo imprenditore e se invece di criticare iniziassimo a proporre soluzioni concrete?

Se lo aiutassimo ad uscire dal Paese dei Balocchi?

 

1. Le mPMI sono creative ma improduttive.

❖ Il 94,8% delle imprese (micro Imprese) realizzano il 23,0% del fatturato 

❖ il 4,55 % delle imprese (piccole Imprese) realizzano il 20,9% del fatturato

❖ lo 0,55% delle imprese (medie imprese) realizzano il 19,7% del fatturato 

❖ lo 0,1% delle imprese (grandi imprese) realizzano il 36,4% del fatturato

 

 

L’inganno di Lucignolo e del Made in Italy.

Il piccolo imprenditore è ingannato da un Lucignolo che gli fa credere che si può vivere ancora di rendita del Made in Italy, quando invece più che puntare sul prodotto secondo mentalità novecentesche, bisognerebbe spostare il focus sul cliente e i suoi bisogni, e andare oltre la creatività e l’invenzione di prodotto per innovare il modello di business e imparare a fare impresa a livello di processi, di sistema, di organizzazione, finanza e comunicazione.

Ma finora non gli sono stati forniti gli strumenti giusti usati dai grandi, ed in particolare servizi a valore aggiunto come quello consulenziale. 

 

2. I piccoli imprenditori contribuiscono all’instabilità e precarietà del mercato del lavoro. Falso. Sono solo luoghi comuni; è una questione di dimensione.

❖ Le micro imprese: impiegano il 43,1% del totale della forza lavoro;

❖ Le piccole Imprese impiegano il 20,5% del totale della forza lavoro;

❖ Le medie imprese impiegano il 13,5% del totale della forza lavoro;

❖ Le grandi imprese impiegano il 22,9% del totale della forza lavoro.

 

 

Non è importante la dimensione ma il funzionamento di un’organizzazione.

Le mPMI devono cominciare a pensare in grande, trasformando le modalità organizzative ed operative da “artigianali” ad “industriali”.

Il “piccolo è bello”, motto dell’economia italiana per tanti anni, decantato anche dalla politica e dalle istituzioni,  ha finito con l’essere forse un ostacolo alla sua crescita complessiva.

Le piccole imprese devono trovare quella dimensione minima che permetta loro di crescere e svilupparsi; cioè aver raggiunto una situazione in cui l’imprenditore non è più completamente operativo e crea un’organizzazione con un certo numero di collaboratori e di responsabili a cui poter delegare.

 

3. I piccoli imprenditori sono evasori fiscali.

Non si può fare di tutta l’erba un fascio.

C’è una parte considerata evasione ma che altro non è che IVA dichiarata ma non pagata. L’imprenditore non avendo margine usa l’IVA per fare impresa. Per ovviare a questo bisognerebbe aiutarlo ad aumentare la fatturazione e migliorare la capacità produttiva. Bisognerebbe avere la capacità di non inglobare gli evasori veri con queste imprese che utilizzano l’IVA per finanziarsi, dando a quest’ultime gli strumenti per avere più margine da investire.

 

4. I piccoli imprenditori non investono in innovazione

Al 2020 solo l’11% di micro imprese (5-9 addetti) ha investito in Industria 4.0, contro il 20% delle piccole (10-49 addetti) e il 38% delle medio-grandi (50-499 addetti).

 

 

La paura di incontrare il Gatto e la Volpe.

Il piccolo imprenditore è stato spesso “raggirato” dal Gatto e la Volpe e dalle loro apparenti soluzioni, fornitori verticali che non risolvono il problema alle origini, perché la soluzione non riguarda una singola materia ma bisogna intervenire trasversalmente sull’intero sistema, attraverso più azioni combinate tra loro.

L’Italia è specializzata in settori cosiddetti tradizionali, compartimenti dove non si è investito in innovazione tecnologica, quest’ultima legata fortemente allo sviluppo e alla crescita. In Italia gli investimenti sono focalizzati nell’innovazione di prodotto e in settori già ad alta tecnologia, bypassando il settore dei servizi, settore dove principalmente operano le microimprese.

L’innovazione non è subito una questione tecnologica, ma richiede prima consapevolezza, fiducia e metodo.

L’innovazione è un processo graduale e non immediato il cui approccio deve essere incoraggiato da persone competenti in grado di stabilire un rapporto empatico e di fiducia con l’imprenditore, stimolandolo ad investire progressivamente in innovazione, e ad oggi queste figure intermediarie non ci sono.

 

5. I piccoli imprenditori sono intrappolati in gestioni a livello familiare generando una mancanza di meritocrazia.

70% delle imprese italiane il sistema manageriale si ferma all’interno della famiglia. Ne parliamo in questo articolo.

 

 

Inoltre, la maggior parte delle imprese italiane non sono imprese (61% delle micro imprese sono ditte individuali) ma persone, e le persone hanno bisogno di fidarsi.

In Italia la fiducia è un elemento cardine. Chi darebbe in mano la propria azienda ad uno sconosciuto?

Per questo si auspica una figura manageriale preparata, che non rappresenti un costo insostenibile e che soprattutto sia percepita come una persona  di fiducia, un co-imprenditore in grado di affiancare l’imprenditore e di metterci lo stesso impegno, cuore e passione, come se l’azienda fosse la sua, ma con competenze idonee e coerenti per innovare, essere competitivi e creare valore.

 

Il falso mito del Made in Italy, della digitalizzazione e dei finanziamenti.

La vera causa dell’improduttività italiana va oltre i luoghi comuni e la soluzione non ha nulla a che vedere con il falso mito della digitalizzazione e dei finanziamenti; panacee temporanee che non risolvono il problema alle origini, come i 5 soldi che Mangiafuoco dà a Pinocchio ma che lui poi investirà in modo sbagliato, affidandoli al Gatto e alla Volpe, e perdendo tutto. E riporre tutte le speranze nel made in Italy non è corretto, perché bisogna andare oltre la logica del prodotto. leggi anche questo articolo.

 

La vera soluzione è un’azione culturale.

Vogliamo essere il Grillo parlante che generi consapevolezza, che apra gli occhi su un nuovo modo di fare impresa, che sia la vera molla verso il cambiamento e la spinta all’innovazione; innovazione di modello più che di prodotto. In questo percorso di trasformazione il piccolo imprenditore deve essere affiancato da consulenti “speciali” che, così come la fatina rende Pinocchio un fanciullo felice e in carne ed ossa, riescano ad apportare valore aggiunto alle sue idee, mettendole a terra con un progetto innovativo, concreto e vincente sul mercato e decretando un primo approccio all’innovazione.

 

 

 

 

Scopri di più sul nostro metodo

Leggi anche

Vuoi innovare la tua azienda?

Investiamo molto tempo nel parlare
senza impegno con chi vuole conoscerci

Liquidità per emergenza Covid

Fondo Rotativo per il Piccolo Credito
Finanziamenti per la liquidità delle MPMI
Asse 3 Competività – Azione 3.6.1

Contattaci