Lettera aperta al Ministro delle Imprese e del Made in Italy

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Suggerimento per la Legge di Bilancio 2024 e misure correlate: proposta di democratizzazione e diffusione della cultura e metodologia di impresa e del valore aggiunto come risposta all’improduttività.

Entro la fine dell’anno sarà approvata la Legge di Bilancio 2024, una manovra che speriamo possa concretamente apportare un cambiamento radicale ed evolutivo del sistema economico italiano, e di conseguenza alla risoluzione di problematiche sociali importanti che affliggono il nostro Paese quali la bassa natalità, la precarietà e le disuguaglianze. Ma per arrivare a questo si necessita fortemente di strumenti, sia finanziari che operativi, che coinvolgano l’offerta del terziario avanzato, per metterlo nella condizione di dare supporto alle micro, piccole e medie imprese produttive nel creare valore aggiunto, per distaccarle così dalla logica del solo prodotto e da una filiera spesso di subappalto senza più margini.

Auspichiamo pertanto una manovra rivolta anche alle micro e piccole imprese italiane, spesso commodity e a basso valore aggiunto, maggiormente improduttive e con scarso margine operativo, causa sovente di molti altri disagi e problemi come la precarietà, che rappresentano una grossa fetta dell’intero sistema economico.
Tuttavia, dalle prime indiscrezioni trapelate dalla bozza, da altre misure collegate, come il piano di Transizione 5.0, emerse a favore diretto delle PMI, emerge invece una chiara volontà della visione politica attuale (in linea anche con le scelte del Governo Draghi) di favorire le medie e grandi aziende, soprattutto manifatturiere, o quelle capaci di fare alta tecnologia, riprendendo la strategia di un sistema “a goccia” che, al pari di quello opposto assistenzialistico, come dimostrato in passato, non migliorerebbe l’equilibrio precario del nostro ecosistema, volendo spostare l’asse su una maggiore crescita e produttività.

La manovra finanziaria, le misure collegate e connesse, a nostra opinione, necessitano di altre idee.

«La politica del Ministro Urso – afferma Marco Travaglini, fondatore di Consulente Paziente – appoggiata dal Governo e sicuramente dal Ministro Giorgetti, sembrerebbe quella di finanziare un’innovazione molto “alta” che riguarda soprattutto prodotti tecnologici e della green economy di medie e grandi imprese baluardo del nostro Made in Italy; aziende queste che rappresentano solo una minoranza (seppur con grande valore aggiunto prodotto) che da sola non traina più la zavorra di quelle invece improduttive, da noi definite “mercato OFF”, spesso “manovali di filiera” o strettamente legate al quartiere e al territorio, fuori da ecosistemi innovativi, senza neanche rappresentanza, fuori dalla città e dai modelli di contaminazione, in molti casi incapaci di progettare e lavorare con l’obiettivo del valore aggiunto. La finanziaria di questo anno, come quella dei due anni precedenti, e le misure e scelte politiche collegate (vedi il RePowerEu), lato imprese, è focalizzata sul concetto di un sistema “a goccia” che finanzia le medie e grandi realtà industriali, soprattutto manifatturiere, quelle definite da noi “ON” (tecnologiche, esportatrici) che ad indotto dovrebbero portarsi dietro le piccole imprese meno produttive e di basso valore aggiunto. Noi pensiamo che questa politica rischi di essere ancora più distante dalla realtà e dalle necessità delle micro e piccole aziende, cuore numerico dell’impiego e del lavoro. Ad esempio, il credito d’imposta su un’innovazione (altamente) tecnologica relativa all’attività di ricerca e sviluppo (così come il rinnovamento dei criteri di Patent Box fatto dal precedente Governo) è estremamente collegato ad un contesto di sole grandi imprese o di sole imprese già evolute, escludendo completamente le micro e piccole attività che necessiterebbero in primo luogo di un’innovazione organizzativa, di sistema e di modello di business e di (cultura del) lavoro, prima ancora di un’innovazione altamente tecnologica. Queste realtà dovrebbero invece partire da una tecnologia base già esistente che ne faciliterebbe l’introduzione e il contatto con gli ecosistemi esistenti di lavoro innovativo. Seppur con intento di modernizzare, si rischia di dare spazio ancora ad un sistema novecentesco che privilegia di nuovo le grandi realtà produttive, o quelle legate a prodotti tecnologici, senza dare vero supporto e possibilità di crescita alle micro e piccole imprese, che però sono centrali e strategiche nell’economia italiana, dalla creazione di lavoro alla crescita dei consumi interni, ma che vengono di nuovo ignorate da metodi che non le rendono protagoniste, ma anzi sempre più distanti dall’innovazione e dal nuovo modo di fare impresa.
Le piccole imprese commodity, infatti, non trovando modo di generare un alto valore aggiunto per un prodotto così tecnologico, continueranno a restare sempre ai margini e a valle del sistema e, pur rappresentandone l’ossatura, continueranno ad essere la “zavorra” del Paese e dell’intero sistema del Made in Italy. Di contro, siamo convinti che nemmeno il sistema assistenzialistico dei finanziamenti a pioggia e senza criterio (anzi spesso con un criterio solo di contenitore e di strumenti senza contenuti e strategie di lungo termine), sia utile a risolvere il problema. Da qui il nostro suggerimento di coinvolgere il terziario avanzato come leva capillare e metodologico-strumentale per democratizzare servizi a valore aggiunto e ad alta intensità di conoscenza (KIBS), a partire dalla consulenza, da un nuovo modello di lavoro e di business, da tecnologie e sistemi di nuovo processo del lavoro, mettendo a terra e abbassando il costo economico, emotivo e di effort per chi ha merito come il piccolo imprenditore italiano e necessità di sapere come fare ad entrare negli ecosistemi del nuovo modo di fare impresa; mettendolo al fianco di chi ha metodo e conosce il “come” e il “chi”, rendendo così l’innovazione alla portata di tutti. La politica, a nostro avviso, non dovrebbe continuare a finanziare la “fabbrica del novecento”, ma dovrebbe piuttosto focalizzarsi su metodi di contaminazione tra chi realizza il prodotto e chi conosce il metodo per creare valore aggiunto attraverso strumenti, fondi, processi e tecnologia».

 

 

Da questo pensiero laterale rispetto alla manovra del 2024 si è pensato di scrivere una lettera al Ministro.

 

Di seguito la lettera integrale:

 

Roma 12/12/2023

Oggetto: Suggerimento per la Legge di Bilancio 2024 e misure correlate: proposta di democratizzazione e diffusione della cultura e metodologia di impresa e del valore aggiunto come risposta all’improduttività.

 

Caro Ministro Urso,

 

Le chiediamo di porre attenzione a questa nostra riflessione con una prospettiva laterale, e forse avanguardistica, nell’andare oltre il concetto e l’approccio del Made in Italy manifatturiero, senza metterne in discussione l’indubbia importanza, ma stimolando un dibattito costruttivo su un’altra possibile soluzione all’improduttività italiana, vera prima problematica del nostro Paese, legata maggiormente ad aziende minori operanti nel settore commodity.
Nel nostro Bel Paese siamo cresciuti a pane, arte e cultura; il patrimonio storico, artistico, naturalistico e culturale di cui disponiamo è impresso nel profondo del nostro DNA ed è famoso in tutto il mondo, lo sappiamo tutti molto bene e ne siamo fieri; ovviamente ha influenzato il nostro modo di essere artigiani straordinari e le nostre capacità di creare. Siamo grandi inventori di prodotto e il nostro marchio distintivo d’eccellenza, il Made in Italy, è, come tutti i patrimoni, da tutelare e preservare.
Tuttavia, rispetto agli anni che hanno visto la fortuna del Made in Italy, le cose sono cambiate (diremmo anche da decenni ormai). Il contesto socio-economico è completamente diverso. Con l’avvento della globalizzazione, dei social network e del digitale, nonché delle crisi finanziarie e di sistema generate anche dalle guerre in atto, il mercato si è modificato, passando da un mercato di domanda (favorito dalle politiche del secolo scorso) ad un mercato di offerta le cui regole sono completamente diverse; la velocità delle nuove richieste (stimolate…), personalizzate, del mercato e il bisogno di nuova offerta continua, insieme alla necessità di disintermediazione e smaterializzazione, hanno messo in grande difficoltà la creatività del nostro imprenditore-inventore di prodotti, troppo spesso slegata dai processi, e la relativa capacità di organizzazione e di utilizzo di tecnologia. Il Made in Italy non è più sufficiente a trainare, da solo, il nostro sistema economico senza attenzione forte all’innovazione di processo, di modello e di organizzazione, del business e del lavoro.
Seppur tante, rimangono sempre poche le aziende esportatrici del Made in Italy in grado di farne il proprio baluardo di produttività; infatti queste imprese rappresentano ancora una percentuale non sufficiente rispetto alla necessità del tessuto economico italiano, formato in maggioranza da mPMI a traino, molte in settori commodity e a basso valore aggiunto, spesso solo manovali di sistema senza più margine che noi chiamiamo e definiamo mercato “OFF”.
Micro e piccole imprese che possiamo suddividere in due grandi categorie. La prima è quella degli imprenditori inventori ma non innovativi a livello di sistema e modello, che hanno un ottimo prodotto ma che non trova riscontro sul mercato perché non sanno come definire processi ottimizzanti e come fare impresa secondo le regole del business moderno; pertanto un prodotto senza comunicazione, processi, finanza e aree complementari rimane lì come un buon prodotto e niente più. La seconda categoria è quella di “manovali di filiera” che non esprimono e non creano però valore aggiunto, e che quindi spesso rimangono intrappolati negli indotti di medie e grandi aziende (soprattutto manifatturiere ma non solo) lavorando come semplici “operativi” a basso margine, con una moltitudine di problemi non solo fiscali, ma anche sociali, con una precarietà enorme connessa al loro modello pull, poco creativo e poco prospettico, legato alle occasioni e all’indotto dell’attimo da cogliere.
È arrivato il momento in cui non possiamo più vivere di sola rendita del Made in Italy, inteso come “solo prodotto” ma dobbiamo cominciare ad innovarci per stare al passo coi tempi. Dovremmo concentrarci su una innovazione di processo, organizzativa e di modello di lavoro, e quindi non solo tecnologica, superando il concetto “hard di prodotto, di macchinario o di strumento singolo” (relativo ancora a logiche di investimento novecentesche, molto fisiche e di lunga durata), per avviarci verso una innovazione “soft di processo”, legata invece al digitale, alla cultura della ricerca e sviluppo, dei test e del cambiamento continui di cui necessitano oggi tutte le imprese, anche le più piccole, compreso il commerciante su strada.
Pensiamo che la diffusione e l’accessibilità di metodi, strumenti e persone competenti, e quindi di un sistema di contaminazione, sia di fondamentale importanza per gli imprenditori, soprattutto in un momento di incertezza così grande. Serve assolutamente mettere in contatto il terziario avanzato con tutto il mondo produttivo, ipotizzando di offrire, al primo, l’opportunità di avere un nuovo mercato, anche inizialmente “abbassandosi” e adattandosi ad un livello più basico (di prezzo e di competenze) ma con opportunità di sviluppo future importanti come in tutti i mercati quasi vergini; al secondo, di parlare con “mediatori di conoscenza” per creare valore aggiunto insieme, oltre il prodotto e la sola manovalanza da filiera. Solo così potremo tornare a far parlare di noi e del Made in Italy in maniera ancora più capillare e consapevole, perché ne abbiamo tutte le potenzialità.
La politica mixata dai vari decreti, e in particolare le misure trapelate dalla bozza relativa alla nuova manovra prevista per il 2024, a nostro avviso, più che puntare solamente sull’alta tecnologia e sulla manifattura da fabbrica, dovrebbe puntare anzitutto ad un’azione culturale, di consapevolezza e di buone pratiche estese e nel dare possibilità a tutti di innovare; una politica tesa a diffondere la conoscenza di come fare impresa oggi nel rivedere i processi, la mentalità, l’approccio, gli strumenti più che i prodotti, promuovendo un metodo che avvicini in modo graduale il piccolo imprenditore all’innovazione, perché ne è ancora fortemente distante.
La priorità non è più solo pensare di salvaguardare e rilanciare il Made in Italy (e pensare che l’occupazione si possa trovare sempre solo in fabbrica): bisognerebbe piuttosto inserirlo in un contesto di sviluppo e crescita economica delle mPMI, affiancate dal terziario avanzato, come già auspicato, per accedere a servizi a valore aggiunto. È impensabile ormai che le imprese che abbiamo definito “OFF”, che rappresentano l’altra metà oscura dell’indotto, quella che fa fatica, quella che è improduttiva, quella che è sotto scacco delle filiere e delle medie e grandi aziende (soprattutto manifatturiere), possano immaginare di crescere senza ideare, sviluppare e incrementare valore aggiunto, rendendosi indipendenti (con un modello push programmatico e di durata nel tempo) e creando loro stesse posti di lavoro diretti e più stabili.
Sarebbe dunque indispensabile e auspicabile far uscire i piccoli imprenditori dal ruolo di inventori novecenteschi (o di manovali di indotto) per trasformarli in innovatori di sistema e di processo.
Un salto di paradigma dal prodotto d’eccellenza a sistema-impresa che valorizzerebbe ancora di più il prestigio del prodotto, del nostro Made in Italy e del nostro Paese tutto.

Il nuovo motto e l’obiettivo dovrebbe essere:
“Bello come il Made in Italy; organizzato come l’impresa del futuro.”

Noi abbiamo testato e validato un progetto (anche di ricerca, avallato da attori autorevoli) che vuole diffondere e democratizzare questo approccio e la cultura d’impresa verso l’innovazione di modelli e processo presso le mPMI, avvalendosi di migliaia di “Consulenti Pazienti” e imprese di servizi, consulenza e tecnologia che riescano ad affiancare nel cambiamento e nei momenti di discontinuità gli imprenditori “OFF” di solo prodotto o di sola manovalanza e, pur non avendo la presunzione di poter cambiare nell’immediato lo scenario economico italiano, crediamo possa rappresentare, congiunto ad altre azioni, uno stimolo per una progressiva spinta all’innovazione delle mPMI, e divenire un modello d’ispirazione concreto a sostegno delle stesse.
Saremmo lieti di poter intavolare un confronto costruttivo con Lei, lo stiamo già facendo con centinaia di consulenti ed operatori del terziario avanzato e del mondo produttivo che ragionano in ottica di nuova offerta di affiancamento per l’imprenditore di piccola dimensione, spesso smarrito e sfiduciato dal sistema, nonché bloccato da una gestione familiare poco aperta al confronto, e troppo distante da tutti gli altri attori quali istituzioni, finanza, servizi, mondo tecnologico e accademico.
In conclusione, il nostro suggerimento è quello di creare un modello e un sistema di contaminazione tra chi produce e chi coadiuva la produzione stessa, abbattendo il muro della diffidenza e promuovendo la connessione e lo sviluppo tra le varie categorie di creazione del valore aggiunto.

Nell’attesa di un Suo gradito riscontro Le auguriamo buon lavoro.

Marco Travaglini
Fondatore e Portavoce della Community “Consulente Paziente”

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