E’ meglio essere creativi o innovativi? Cosa vuol dire oggi progettare prodotti e servizi di valore per i consumatori?
L’industria italiana è da sempre ben nota per la sua ingegnosità, la creatività e il buon gusto praticamente in tutto.
Il Made in Italy viene esportato ovunque nel mondo come sinonimo di qualità e di stile.
Il lavoro italiano è riconosciuto come diligente, paziente, competente, artigianale, di livello, in una parola: tradizionale. Ma può bastare questo modo di produrre, in un contesto globale ormai fortemente dematerializzato e digitalizzato, per “vendere” il Made in Italy e il suo valore intrinseco? Perché oggi il marchio italiano è minacciato dagli stereotipi, dalle contraffazioni e da consumatori non pienamente in grado di comprenderlo?
Se il cliente target non è in grado di distinguere e apprezzare il valore reale di un prodotto, un servizio o un brand, probabilmente non è colpa sua, ma di chi non è stato capace di assicurarsi che quel prodotto o servizio o brand fosse riconosciuto e percepito correttamente, ancora prima di essere immesso sul mercato.
Insomma, quello che ci chiediamo è: ideare un prodotto o servizio innovativo, efficace, di successo è questione di sola creatività oppure anche di organizzazione e metodologia? E’ una problematica che riguarda sia le grandi che le piccole e medie imprese, a prescindere dal fatto che dispongono di strumenti, risorse e culture aziendali diversi?
Produrre per creare valore, le PMI ripartono dalle comunità dei consumatori
Il nodo principale da sciogliere, forse, è proprio la concezione troppo tradizionale di fare impresa e mercato, specialmente nelle piccole e medie aziende, e lo sradicamento dell’idea del Made in Italy i cui unici valori siano la manualità, la materia prima, l’estetica a scapito di innovazione, ricerca, sviluppo di idee, esperienza. La sua forza distintiva dovrebbe essere soprattutto nella capacità di creare e coltivare comunità di riferimento e relazioni virtuose con fornitori e stakeholders.
E’ proprio dalla creazione di community che dovrebbero ripartire le PMI italiane, dal consumatore quale base di partenza per ideare, progettare, comunicare, condividere, abbandonando il pensiero novecentesco ancora troppo product oriented. I cambiamenti sociali ed economici hanno messo le aziende di fronte a realtà mutate e mutevoli, ricche di opportunità per chi sa adattarsi così come di incertezze e minacce per chi non regge il passo.
Il problema di chi oggi produce non è tecnico, materiale, creativo, non sono le idee che mancano e non è questione di saper fare: i limiti sono piuttosto nel saper coinvolgere ed emozionare, ripensare ai processi, ai modelli organizzativi e alle modalità di creazione e sviluppo di servizi, temi fondamentali per chi gestisce anche piccole attività produttive.
In fase di progettazione partire dalle caratteristiche tecniche di un prodotto o di un servizio da sponsorizzare in tutti i modi e cercare di vendere a tutti i costi si è rivelato un metodo inefficace e arretrato in un mercato oggi saturo, dove il consumatore consapevole e iperstimolato partecipa attivamente e dialoga con le imprese per condividere opinioni e promuovere nuovi comportamenti di consumo, stili, abitudini, mode, identità.
Il prodotto non è il “fine” ma il “mezzo” per arrivare alla piena soddisfazione di un bisogno e alla soluzione a un problema. Creare nuovi prodotti e servizi vuol dire fare innovazione solo se si parte al contrario, non dal laboratorio, dal materiale, dalle macchine, ma dall’obiettivo per cui quel determinato prodotto viene progettato e fabbricato: l’utilizzo da parte delle persone e la sua integrazione nella loro vita quotidiana.
Il prodotto o servizio come “mezzo” per soddisfare bisogni e risolvere problemi
Per le grandi aziende non è difficile rivedere di volta in volta i processi produttivi alla luce delle trasformazioni e delle nuove esigenze dei mercati, focalizzando l’attenzione sull’utente e inseguendo l’evoluzione dei suoi bisogni attraverso test, ricerche e continui riadattamenti.
Ma cosa accade alle piccole imprese che non dispongono delle stesse risorse economiche, spesso aggravate da vari limiti strutturali, organizzativi, culturali?
Se fare innovazione è più una questione di metodo che di manufatto, è saper attribuire un valore emotivo a un prodotto o servizio che colpisca mente e cuore dell’utente, l’investimento che la PMI deve sostenere è un cambio di mindset orientato alla creazione di una comunità con cui dialogare e a cui offrire una proposta di valore sotto forma di esperienze.
Deve farsi furba e imparare a parlare con il suo pubblico, a conoscerlo, ad ascoltarlo, a seguirlo, a carpire i bisogni anche meno manifesti, i desideri, i timori, i sogni. Questo per la piccola impresa vorrebbe dire acquisire informazioni essenziali per poter creare qualcosa che sappia davvero soddisfare i suoi clienti e rispondere alle loro richieste, essere riconosciuta come interlocutore credibile e affidabile.
Vorrebbe dire catturare l’attenzione della propria community, in un mercato in cui è sempre più difficile ottenerla, coinvolgerla ancora prima di cercare di venderle un prodotto e ottimizzare gli investimenti futuri con il minimo margine di errore nel presentare le novità.
Progettare partendo dal consumatore: il Modello delle 5 C per le PMI innovative
Mostrare sensibilità umana e meno doti da progettista per l’impresa significa mettere al centro della progettazione la proposta di valore, la comunicazione e le relazioni: è quello che noi chiamiamo Modello delle 5 C, in cui “C” sta proprio per customer, ossia il cliente.
Il nostro metodo customer oriented è win-win per il consumatore e l’azienda: il coinvolgimento massimo dell’utente permette da un lato di destinare maggiore valore aggiunto e dall’altro di ottimizzare i costi, soprattutto promozionali, grazie a una community attiva da cui partire per la propria offerta.
Il nostro modello è fortemente empatico, non si concentra sulle caratteristiche materiali dei manufatti o di un servizio, ma sul valore emotivo che nasce dall’esperienza d’uso e fruizione.
Non progettiamo focalizzandoci sul ciclo di vita del prodotto, sulla concorrenza, sul prezzo, sulla pubblicità spietata, sugli sforzi di fidelizzazione del cliente inconsapevole e sul consumo fine a se stesso, ma partiamo dalle persone, dalla soddisfazione dei loro bisogni e dalle implicazioni emotive e psicologiche nella vita quotidiana del consumatore.
La conoscenza e la gratificazione dei bisogni (Customer Needs), il valore associato all’esperienza di consumo (Customer Value), la convenienza intesa come semplificazione e riduzione dell’impatto psicologico di una nuova scoperta (Customer Convenience), la comunicazione come parte integrante dell’esperienza di fruizione (Customer Communication), la progettazione di ciò che le persone amano, ricordano, desiderano, di cui si appassionano e partecipano alla produzione, che comunicano a loro volta e che riacquistano (Customer Experience): la forza del Modello delle 5 C è di permettere alle piccole e medie imprese di fare innovazione creando esperienze di valore per i propri clienti a partire dai loro stessi bisogni, ridurre così al minimo i rischi e mettere al centro le persone e non un prodotto.